Se n'è andato. O almeno così pare.
Eliminato dalla giustizia, come era facile profetizzare conoscendo le origini delle sue fortune.
Eliminato dalla giustizia, come era facile profetizzare conoscendo le origini delle sue fortune.
E non posso nascondere un minimo di curioso, masochista rimpianto pensando che è dal 1994 che, in un modo o nell'altro, mi trovo a parlare, leggere, discutere, commentare, deprecare e litigare su di lui. Sull'omarino in maglioncino e giacchetta che, ormai invecchiato, ripete per la millesima volta che la colpa è tutta dei magistrati comunisti. La mia povera figlia, nata nel 1992, è praticamente cresciuta sotto il suo regime e anch'io devo far un po' di fatica per ricordare chi è venuto prima di lui. Il CAF Craxi-Andreotti-Forlani, certo, e prima ancora?
Non ho idea che cosa significa avere sempre avuto lui - anche in quel paio di occasioni nelle quali fu Prodi a governare - come un peso sulla testa, pesante, ma al quale ci si abitua. E in un modo o nell'altro ci siamo abituati tutti. Al turpiloquio e ai battibecchi televisivi, alle sparate in pubblico ritirate poche ore dopo, alla dichiarazioni pelose e penose di amore per la (propria) libertà, dei mille e mille scandali che, pur senza averne l'esclusiva, i suoi fidi hanno creato in tutta Italia. Ai condoni, alle sanatorie, ai tagli orizzontali sui fondi per la scuola, la sanità, i servizi...
Lo scopo essenziale del nostro era quello di difendere e rafforzare l'azienda di famiglia, di moltiplicarne e massificare il suo impatto, trasformandoci tutti, nessuno escluso, nel suo pubblico. Pubblico è qualcosa di molto diverso dal popolo e, a maggior ragione, dai cittadini.
Siamo stati per vent'anni il pubblico di B.
Scomparso il clown, il capocomico, il bigliettaio e il borseggiatore rischiamo di rimanere comunque al nostro posto, senza capire che lo spettacolo è finito. Senza riuscire a diventare o ritornare cittadini.
Ed è questo il problema vero.